Quando nella giornata di martedì 3 dicembre il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol ha imposto la legge marziale provando a comprimere diritti politici e civili, bloccare il Parlamento e sospendere l’attività dei partiti, il Paese asiatico è andato in choc. Ma si è presto imposto un barrage democratico al tentativo autoritario del presidente, che ha agito con un vero e proprio colpo di testa per imporre la sua agenda, solo un mese fa incoronata da Newsweek come modernizzatrice per la sua volontà di liberalizzare l’economia, le pensioni e il mercato del lavoro, risolvere i problemi demografici, preparare la Corea del Sud a un nuovo confronto con il Nord.

I legislatori del People Power Party (Ppp), il partito conservatore di cui fa parte il presidente hanno condannato il tentativo ma al contempo votato contro l’impeachment proposto dall’opposizione del Partito Democratico.

Il coreanista Federico Giuliani ha invitato a guardare con attenzione alle mosse che ora farà Pyongyang assieme al suo leader Kim Jong-un: “Con Seoul allo sbando e un presidente sudcoreano nel mirino dei suoi stessi cittadini, per Kim si è materializzata una situazione potenzialmente ottima per soffiare sul fuoco e approfittare della crisi del Sud. Il leader nordcoreano non sembra essere tuttavia interessato a compiere passi falsi, consigliato presumibilmente da Cina Russia”. Giuliani nota che nello staff del presidente “c’è chi ipotizza che possa essere Yoon a giocarsi, di nuovo, la carta Nord Corea per individuare un nemico comune e scuotere la penisola coreana. In mezzo a mille dubbi e incertezze, il ministro della Difesa sudcoreano ad interim, Kim Seon Ho, ha dato istruzioni ai massimi vertici militari e ai comandanti di tutto il Paese di mantenere una ferma prontezza alle emergenze”.

Vero è che Yoon è tornato sui suoi passi solo quando la società sudcoreana ha fatto muro contro la richiesta di legge marziale e al contempo si è avuta la protesta della popolazione, il voto contrario del Parlamento, la mobilitazione della stampa. Una vera e propria lezione di democrazia in un Paese che solo 35 anni fa è uscito da una dittatura militare e non intende ritornarvi. Due, però, i punti salienti da evidenziare. Da un lato, anche in sistemi avanzati la sfida all’ordine democratico è dietro l’angolo. Dall’altro, di fronte a queste sfide la volontà di difendere la democrazia è un referendum collettivo. La Corea del Sud ha risposto affermativamente. Saprebbero altri ordinamenti fare altrettanto?