Una guerra lunga tredici anni risolta in dieci giorni. E soprattutto conclusasi senza alcun preavviso, con un regime al potere da 53 anni e dal 2011 impegnato contro un’ampia coalizione di forze che è scomparso come neve al sole di fronte alla disfatta militare del suo esercito. Il crollo del regime siriano di Bashar al-Assad, al potere dal 2000 ed erede del padre Hafez che l’aveva fondato nel 1971, è avvenuto tra il 28 novembre e il 7 dicembre.
Prima è arrivata la presa di Aleppo da parte dei ribelli filo-turchi (Esercito Nazionale Siriano) e dell’organizzazione militante Hay’at Tahrir al-Sham guidata dal jihadista Abu Mohammad al-Jolani, vero protagonista dell’offensiva con cui l’Esercito Arabo Siriano è stato sbaragliato. Poi sono cadute Hama e Deir ez-Zor, importanti roccaforti del regime.
Infine la guerra è giunta a Homs, teatro delle proteste che innescarono la guerra civile nel 2011, e nella stessa Damasco. L’avanzata di altre formazioni ribelli da Sud ha segnato il colpo decisivo e, privato del decisivo sostegno di Russia e Iran, Assad è fuggito a Mosca dopo che dal 30 novembre in avanti le forze aeree del Paese di Vladimir Putin, duramente impegnato in Ucraina, hanno cessato di bombardare le colonne nemiche.
Molto si può dire del collasso di un governo la cui presa sul Paese sembrava ferrea. Innanzitutto, Assad era dipendente dai patroni esterni. In secondo luogo, ha forse sottovalutato la volontà di disarcionarlo del nemico storico, il leader turco Recep Tayyip Erdogan, che sognava da anni di metter le mani su una maggiore influenza sulla Siria. Terzo punto, è venuto meno il ruolo del regime come patrono delle minoranze. Il leader di Hts, al-Jolani, ha parlato alla Cnn abiurando il suo passato terrorista (è un ex membro di al-Qaeda) e invocando l’unità nazionale. Ora però la Siria è divisa in più cantoni, corrispondenti alle zone di occupazione dei vari gruppi armati a cui si aggiunge l’ampia enclave curda. Nel frattempo, l’8 dicembre Israele ha occupato territori al confine nelle alture del Golan, gli Usa hanno bombardato l’Isis nel deserto e la Turchia ha colpito i curdi. Tra patroni esterni e interessi vari, la sensazione è che la fine dell’era Assad chiuda un capitolo della storia siriana, ma che quello della pace sia ancora lontano dall’aprirsi.