Il recente braccio di ferro politico-giudiziario tra il governo italiano di Giorgia Meloni e la magistratura sul caso dei migranti inviati dall’Italia nei centri di confinamento in Albania ha riaperto la diatriba su quando un Paese di origine di uno straniero che giunge nella penisola debba essere definito “sicuro”. E dunque debba essere considerato valido per il rimpatrio di un cittadino straniero che chieda asilo in Italia qualora non rispetti i requisiti per rimanervi o la sua domanda d’asilo sia rigettata.
Il più recente decreto del governo identifica diciannove Paesi non comunitari e ai cui cittadini è concessa l’opzione della richiesta di asilo politico come sicuri: Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Egitto, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Perù, Senegal, Serbia, Sri Lanka e Tunisia. Ma si può definire una regola valida erga omnes per questi Paesi? È possibile per legge definire come non ostile a chi vi venga rimandato, magari via Albania, uno Stato nel suo complesso? La risposta non è univoca. Certamente, Stati come la Macedonia, il Kosovo e la stessa Albania, che fanno parte dell’estero vicino dell’Italia, sono membri del Consiglio d’Europa e devono rispettare standard umanitari chiari, sono più vigilabili. Ma si può dire lo stesso, ad esempio, di due autocrazie come Egitto e Tunisia in cui il volto sicuro del Paese, quello turistico, cozza con la repressione di varie forme di dissenso e con problematiche come l’insorgenza jihadista (Egitto) e la repressione delle opposizioni (Tunisia)? Una riflessione si impone.

Segnaliamo, a tal proposito, la lettura di Linkiesta, che ricorda come “una sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea del 4 ottobre, in realtà, permetterebbe comunque all’autorità giudiziaria di valutare d’ufficio caso per caso” l’eventualità di inviare nei diciannove Paesi sicuri i migranti che non soddisfano le richieste d’asilo. Il governo, al contrario, chiede che ad essi venga imposto direttamente il foglio di via. La sentenza, nota la Cgue, “dice che i Paesi di origine sicuri devono essere sicuri in tutto il loro territorio e per tutte le persone che ci vivono, basandosi sulla definizione contenuta in una direttiva europea del 2013”. L’Italia ha stralciato Camerun, Colombia e Nigeria dall’elenco; per Linkiesta “la sentenza della Corte Ue non si riferisce solo a zone geografiche, ma anche a Paesi che, per esempio, perseguitano i dissidenti politici o le persone omosessuali. Cose che avvengono in diversi Paesi ancora presenti nell’elenco tra cui Egitto, Bangladesh e Tunisia”. In tempi di insicurezza globale dare una definizione concreta e valida trasversalmente di stabilità e sicurezza è difficile. Farlo per legge in legame a contesti terzi, quasi utopistico.