La seconda metà di settembre ha visto l’escalation dell’offensiva israeliana contro il Libano, mirante a colpire il gruppo militante sciita di Hezbollah, centrale nel Paese dei Cedri. L’attacco di Israele al Partito di Dio, al contempo formazione istituzionale, gruppo armato e “Stato nello Stato”, mirava nel contesto della guerra mediorientale divampata a Gaza un anno fa a abbattere la capacità di Hezbollah di colpire Israele con il potenziale missilistico, a depotenziare un importante alleato dell’Iran,

 a consolidare lo Stato Ebraico dietro la leadership di Benjamin Netanyahu.Dall’attacco ai cercapersone di Hezbollah del 17 settembre all’uccisione del capo della formazione, Hassan Nasrallah, a cui Israele dava la caccia da tre decenni, la guerra-lampo di Israele è stato un indubbio successo tattico. A cui, però, si associa un rischio strategico: quello di veder precipitare nel caos un Libano che vive un delicato mosaico etnico. Se la Palestina è una scintilla potenziale, il Libano rischia di diventare un braciere in grado di assorbire energie e risorse di tutto il Medio Oriente qualora una guerra lo travolgesse. E Israele non può permettersi ulteriore instabilità ai suoi confini mentre la guerra a Gaza ancora è irrisolta.

Del resto, Hezbollah stessa è ferita ma non abbattuta. E dopo i raid che hanno portato alla morte di Nasrallah, nota il Guardian,“Israele ha preso di mira i siti di lancio di missili nel sud del Libano, ma una stima di quattro anni fa dell’Alma Centre, un think tank israeliano, ha suggerito che ce ne sono altri 28 a Beirut in aree civili. Ciò significa che una campagna di bombardamenti mirata a parti della capitale libanese non può essere esclusa in un’ulteriore escalation, una prospettiva inquietante dati gli intensi bombardamenti di Gaza da parte di Israele”. Del resto, il Partito di Dio “ha molti più missili in riserva: 20.000-40.000 missili balistici con gittata fino a 300 km, stima il think tank CSIS , e un piccolo numero di missili guidati, forse 150-400. Sebbene Israele abbia fiducia nel suo Iron Dome e in altri sistemi di difesa aerea, se un piccolo numero dovesse riuscire a passare, atterrando forse in aree edificate, ci sarebbe un rischio reale per i civili, e quindi un’ulteriore escalation”. Ciò di cui oggi il Medio Oriente ha meno bisogno.