Il governo di uno storico politico moderato dalle indubbie credenziali europeiste, più volte membro della Commissione Ue, alfiere del negoziato per la Brexit, dovrà stabilizzare la Francia agli occhi dell’Unione Europea ma dipenderà in forma decisiva dalla benevolenza del Rassemblement National di Marine Le Pen. Sono queste le problematiche con cui sorge l’esecutivo di Michel Barnier, 73 anni, nominato primo ministro da Emmanuel Macron e chiamato a un complesso equilibrismo. Il presidente ha scelto come capo del governo il politico del partito di centro-destra Les Republicains, alfieri della destra gollista in grande difficoltà e arrivati solo quarti alle legislative, per guidare un esecutivo di coalizione con il suo campo centrista e liberale, imperniato sul suo partito Renaissance. Tutto questo, sulla carta, per tagliare fuori la sinistra del Nuovo Fronte Popolare e la destra di Marine Le Pen in nome di un chiaro obiettivo: la

responsabilità di bilancio, il rientro di un deficit al 5,5% del Pil, la salvezza delle finanze nazionali.

La scommessa di Macron era che il Nfp si sarebbe spaccato di fronte alla sua scelta: da un lato, gli irriducibili guidati da Jean Luc Mélenchon e La France Insoumise, dall’altro socialisti ed ecologisti pronti a dialogare. Così non è stato. E, al contrario, Le Pen ha aperto a collaborazioni con il governo su singoli temi. Diventando, di fatto, decisiva con i suoi parlamentari per l’agenda dell’Eliseo e di Barnier. I quali vogliono portare a casa in tempi stretti la manovra, per la quale servirà l’astensione o il voto favorevole dei lepenisti, che chiedono concessioni in termini di stretta sull’immigrazione e altre politiche securitarie che, stando alle prime indiscrezioni, Barnier (sostenuto da Macron) non sarebbe escluso a concedere. Bruxelles spera che Barnier eviti la crisi delle finanze francesi. Ma è disposta ad accettare una stretta su quelle regole di libera circolazione che già altrove, dalla Germania all’Austria, sono messe in discussione. Con il rischio di un europeismo à la carte che potrebbe, in futuro, far sentire più vuoti gli appelli al “voto utile” contro chi è etichettato come minaccia per i valori europei. In Francia e non solo.