Gli amanti della classicità hanno ripreso in mano il De bello gallico di Giulio Cesare e il suo incipit per commentare l’esito delle elezioni legislative francesi anticipate convocate dal presidente Emmanuel Macron dopo le Europee: Gallia est omnis divisa in partes tres.
La Francia è tripartita: complici le desistenze locali ai ballottaggi, emerge un sistema in cui a vincere più collegi di tutti è il Nuovo Fronte Popolare di sinistra, 182 seggi, seguiti da Ensemble, la coalizione presidenziale, con 168. Sinistra e centristi spesso si sono alleate ai ballottaggi rinunciando a competere coi candidati più deboli laddove l’avversario era un esponente del Rassemblement National stra-vincitore di Europee e primo turno, che nonostante abbia preso un terzo dei voti ha conquistato solo 143 seggi su 577 in una mappa assai eterogenea delle vittorie, ben esemplificata dai dati di Le Monde
Tre modelli di Francia che emergono nel Parlamento più polarizzato dalla formazione della Quinta Repubblica ad opera del generale Charles de Gaulle, pensata per blindare attorno alla presidenza il potere e a consolidare il Parlamento come spazio di confronto tra governo e
rappresentanza popolare, non come arena caotica e divisa. Macron ha vinto una scommessa e ne ha persa un’altra. Ha vinto la sfida di contenere l’ascesa del partito di Marine Le Pen, che sembrava inarrestabile. Ma ha perso la partita della primazia nel Paese. Ensemble arretra, perde un’ottantina di seggi, e per salvare i suoi 168 deputati è costretta a un doloroso “patto col diavolo”: aprire, tramite le desistenze, alla vittoria del Nfp egemonizzato dalla Sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon, leader de La France Insoumise.
Il Paese è meno governabile di quanto lo fosse dopo le Europee e il governo è un rebus. Viene, parafrasando Cesare, l’idea di applicare un altro passaggio sulle tre France emerse dal voto: “Hi omnes lingua, institutis, legibus inter se differunt“. I tre Paesi in uno sono assai diversi. C’è la Francia lepenista, prima in termini di voti ma terza per seggi, votata soprattutto da classe media, lavoratori, persone di mezza età, cittadini della provincia e delle città di media dimensione; c’è il residuo consenso macroniano, forte nelle metropoli e tra i pensionati e gli anziani, oltre che in nicchie giovanili; c’è poi la base degli elettori di Mélenchon e compagni, che va dai giovani ove il Fronte Popolare domina agli abitanti appartenenti alla Francia delle minoranze.
Come far convivere queste forze differenti? Le Monde ipotizza che sinistra moderata e centristi potrebbero, fino a fine mandato di Macron (2027), cercare di formare un governo tecnico. “Questo tipo di governo non è mai stato sperimentato nella storia politica moderna della Francia, quindi bisognerebbe inventare tutto”, ha scritto la prestigiosa testata transalpina. È probabile, in quest’ottica, “che il centro di gravità del gioco politico si sposti verso l’Assemblea nazionale, dove i principali gruppi potranno negoziare tra loro su un certo numero di questioni, prima di dare indicazioni al governo”. Il governo tecnico potrebbe anche “prendere l’iniziativa per alcuni progetti di legge che ritiene consensuali, conducendo trattative con i gruppi politici a monte della discussione parlamentare, per massimizzare le possibilità di vedere il testo adottato. Questo tipo di operazione potrebbe ricordare il modo di governare dell’Unione Europea, dove diverse istituzioni (la Commissione, il Consiglio dei ministri, il Parlamento) sono in negoziazione permanente sui testi, costrette a costruire maggioranze caso per caso”. Difficile, con queste premesse, pensare a una Francia oasi di stabilità.