La questione se l’industria europea sia in pericolo a causa dei “dazi verdi” imposti dall’Unione Europea sulle importazioni ad alta intensità di carbonio provenienti da altre parti del mondo è stata sollevata. Da qualche tempo, gli operatori di vari settori ad alto impatto ambientale hanno evidenziato le potenziali problematiche relative all’applicazione del Carbon Border Adjustment Mechanism (Cbam), un meccanismo fiscale introdotto nel 2021 come elemento chiave del Green Deal Europeo.

Il Cbam, entrato in vigore in modo transitorio a ottobre e previsto per una graduale implementazione entro il 2026, prevede una tariffa sulle emissioni di carbonio incorporate nei prodotti importati da paesi non appartenenti al mercato comune europeo. L’obiettivo è scoraggiare il cosiddetto “dumping ambientale”. Il Cbam mira a due obiettivi: da un lato, prevenire la delocalizzazione delle aziende europee in paesi con normative ambientali meno severe; dall’altro, promuovere la decarbonizzazione a livello globale.

Tuttavia, la politica del Cbam potrebbe rappresentare un boomerang per la competitività europea, considerando la complessità dell’economia globale attuale. Il primo punto riguarda il fatto che, in un contesto globale in cui l’Europa è profondamente integrata con il resto del mondo in termini di catene del valore, e vede una grande quantità di import-export da paesi a rischio di “dumping” ambientale, il Cbam potrebbe rappresentare un danno autoinflitto allo sviluppo industriale del blocco, una volta entrato a pieno regime dal 2026.

In secondo luogo, i paesi europei devono considerare che l’introduzione di una tariffa espone al rischio di ritorsioni. Negli ultimi mesi, molti attori hanno eretto barriere contro l’imposizione europea. Ad esempio, la Cina, considerata il principale destinatario della misura, ha fatto appello alla World Trade Organization. Tuttavia, considerare solo Pechino come destinatario della misura è fuorviante: dato che il Cbam, inizialmente, riguarderà settori difficili da ridurre come la chimica, l’acciaio, i fertilizzanti, anche altri grandi produttori hanno mostrato criticità. Tra questi, un paese in rapida crescita

industriale come la Corea del Sud, uno stato ricco di materie prime come l’Australia e il Brasile, una superpotenza agricola dell’America Latina. Tutti paesi che sarebbe difficile associare alla sfera economica e geopolitica della Cina.

Infine, c’è una questione di opportunità strategica e politica. Il mondo sta diventando sempre più anarchico e competitivo. La sovrapposizione tra sicurezza ed economia, l’ascesa della grande competizione Usa-Cina e il nuovo paradigma nato dopo Covid, crisi energetica e Ucraina ha, in un certo senso, ridimensionato la rule of law commerciale. Di recente, il presidente francese Emmanuel Macron ha lanciato un avvertimento all’Europa: “Vogliamo un commercio che ci avvantaggi, mentre molti altri stanno iniziando a cambiare le regole del gioco, sovvenzionando eccessivamente i settori legati alla transizione”, ha osservato Macron, citando la Cina e gli Stati Uniti. Aggiungendo: “Non possiamo avere in modo sostenibile gli standard ambientali e sociali più esigenti, investire meno dei nostri concorrenti, avere una politica commerciale più ingenua di loro e pensare che continueremo a creare posti di lavoro”. Questo non è più sostenibile.

Il Cbam è visto come un indicatore di una rotta economico-industriale che potrebbe generare distorsioni in un settore come quello della transizione verde e delle sue applicazioni, dove l’Europa è leader. È importante notare come l’Italia possa e debba svolgere un ruolo nel modificare, nel periodo 2024-2026, la misura in modo più attento ai nuovi paradigmi produttivi e geopolitici. Il 10 aprile scorso è stata adottata alla Camera una mozione, il cui primo firmatario è l’onorevole di Forza Italia Maurizio Casasco, presidente emerito di Confapi, che ha ottenuto il sostegno di gran parte del parlamento. Nella mozione si sottolinea che “nel Cbam proposto manca un meccanismo per favorire le esportazioni, adeguato a mantenere competitivi i beni prodotti in Europa che utilizzano i prodotti” e che “in un contesto di frammentazione economica e tensioni geopolitiche internazionali, l’applicazione dello strumento rischia di avere un effetto contrario a quello desiderato”. Questi sono elementi di riflessione che possono avviare un dibattito in una fase critica in cui anche la produzione industriale e l’economia saranno, nei prossimi mesi, un fattore chiave per lo sviluppo dell’Europa che si avvicina alle elezioni.