Da una parte e dall’altra del Mar Rosso centrale per gli equilibri globali del commercio e dell’economia negli ultimi tempi due conflitti sono tornati a riaccendersi. Nella Penisola Arabica lo Yemen, in Africa nord-orientale il Sudan mostrano quanto gli spazi prossimi alla cruciale arteria acquatica siano interessati da contrapposizioni e scontri militari che possono destabilizzare l’area oggetto da novembre 2023 degli attacchi dei ribelli Houthi contro il traffico marittimo.
Nelle ultime giornate, da metà marzo in avanti, sono da evidenziare due importanti sviluppi su questi teatri spesso dimenticati ma che restano cruciali e importanti per la geopolitica regionale e non solo. In Yemen, il 15 marzo gli Stati Uniti hanno rilanciato i nuovi raid contro le postazioni degli Houthi, avviando la più intensa campagna del secondo mandato di Donald Trump contro la formazione sciita che da dieci anni controlla la capitale Sana’a in una guerra civile ormai congelata dalla distensione tra Iran e Arabia Saudita. Trump ha motivato l’assalto agli Houthi come deterrente contro il loro presunto tentativo di voler metter pressione a Israele per la guerra a Gaza con nuovi attacchi al traffico marittimo globale. Da allora in avanti è iniziata una campagna di attacchi con tanto di annessi scandali (Signalgate) che però ha riacceso i fari del mondo sul Paese arabico. Sottolineando quanto una corsa alla sua destabilizzazione, al fine di far riaccendere il conflitto e colpire gli Houthi per indebolire il loro patrono iraniano, possa su iniziativa di Usa e Israele contribuire a destabilizzare l’intera regione e mettere nuovamente i traffici marittimi nel mirino.
In Sudan, invece, i militari del governo centrale di Abdel Fattah al-Buran hanno riconquistato nella giornata del 26 marzo la capitale Khartoum alle Forze di supporto rapido (Rsf) con cui si combattono da marzo 2023. In quest’ottica, c’è chi inizia a pensare che dopo 150mila morti la mossa possa significare una svolta verso la fine del conflitto. Ma le Rsf hanno formato a febbraio un contro-governo formalmente civile a Nairobi, capitale del Kenya, e mirano a mantenere attive le loro posizioni trasformando in uno Stato nello Stato le aree del Darfur e del Sudan occidentale da loro occupate. La caduta della capitale rischia dunque di esacerbare, piuttosto che di calmierare, una conflittualità che ha già dato vita alla peggior crisi umanitaria oggi in atto. Gli impatti regionali possono, in tal senso, palesarsi in qualsiasi momento.