Alta tensione in Romania dopo che la Corte Costituzionale ha sospeso definitivamente Calin Georgescu dalla possibilità di partecipare alle presidenziali di maggio dopo aver cancellato quelle di novembre in cui il tribuno sovranista e di estrema destra era riuscito a vincere, a sorpresa, il primo turno. Georgescu conduceva le rilevazioni e i sondaggi con oltre il 38% dei voti nelle proiezioni ed era dato per favorito per succedere a Klaus Iohannis alla guida della Romania. La sua esclusione ha posto in essere ampie proteste da parte dei movimenti populisti e sovranisti in Romania e in Europa e ha suscitato anche lo scalpore e l’indignazione della Casa Bianca e dei vertici dell’amministrazione Trump, da J.D. Vance a Elon Musk.

Secondo i critici della decisione della Corte, Georgescu sarebbe vittima di un complotto e responsabile unicamente di essersi distaccato da un establishment europeista e atlantista intento a desiderare lo smantellamento di ogni alternativa, facendo inoltre riferimento alla sua visione favorevole a una riappacificazione con la Federazione Russa come a una delle motivazioni che susciterebbero allarme nelle cancellerie internazionali. In quest’ottica, però, è bene sottolineare un fatto: le democrazie devono essere valutabili non solo dal loro risultato ma anche dalla tenuta dei processi. Ridurre solo al momento del voto l’effettività di una democrazia non è sintomo di lungimiranza, anzi: Georgescu è stato escluso a novembre in prima battuta e a marzo in seconda perché inchieste e ricerche sul suo conto hanno fatto emergere di tutto: campagne social pagate da potenze straniere (si pensa la Russia) per favorirlo, finanziamenti illegali alla campagna elettorale, detenzione abusiva di armi da fuoco, da ultimo anche un’incriminazione per sospette attività eversive.

Georgescu è un seguace del pensiero di Corneliu Codreanu e Ion Antonescu, rispettivamente fondatore del movimento ultranazionalista delle Guardie di Ferro negli Anni Trenta e dittatore militare della Romania negli Anni Quaranta. Parliamo di portavoce di ideologie ultranazionaliste, filo-naziste e antisemite che hanno reso la Romania la nazione dell’Asse più coinvolta nel sostenere il processo genocidiario della Germania Nazista e univano a un forte radicamento di pensiero sulla terra, il sangue e il suolo una visione mistica della società,

che contrapponeva una presunta bontà della propria linea di pensiero a una generale malvagità degli avversari. Non a caso Georgescu, dopo l’esclusione, ha dato la colpa all’Unione Europea definendola di averla smascherata come un “demone in tutta la sua mostruosità“. Non a caso dietro Georgescu si stanno compattando tutti i movimenti nostalgici del pensiero della Guardia di Ferro, fautori della purezza etnica e della necessità di fare pulizia dei nemici della Romania. E altrettanto concretamente, Georgescu ha ottenuto il sostegno di Horatiu Potra, comandante mercenario celebre per aver arruolato combattenti in diverse guerre africane, dal Mali al Congo, che più volte ha invitato i romeni a scendere in piazza contro la decisione di bandire Georgescu, paventando anche possibili insorgenze armate. Se questa è una prassi democratica, ci chiediamo cosa potrebbe essere un’autocrazia…