Il Partito Democratico di Groenlandia ha vinto le elezioni dell’11 marzo, in un contesto che segna un distacco di Nuuk dalle prospettive di una futura annessione agli Usa. A essere premiata col 30% dei voti dagli elettori è la forza d’opposizione che si era scagliata con maggior forza contro il presidente americano Donald Trump e le sue strategie.

Un effetto Trump al contrario potremmo dire: il 34enne Jens Frederik Nielsen, già brillante giocatore di badminton e Ministro del Lavoro della Groenlandia dal 2020 al 2021, potrà formare un nuovo governo dopo aver messo a terra una campagna elettorale profondamente ostile a ogni opzione di avvicinamento agli Stati Uniti. Pur essendo indipendentista, ha avvertito che nel breve periodo staccare la Groenlandia dalla Danimarca finirebbe per renderla più vulnerabile alle mire americane. “Perché Trump sostiene l’indipendenza? Perché può rivolgersi direttamente a noi, bypassando la Danimarca, e spera che così saremo facili da influenzare“, ha detto al quotidiano Sermisiaq.

Come scritto su InsideOver, ora Nielsen e i democratici formeranno un nuovo governo e dovranno “al contempo ridefinire i tempi e i modi delle aspirazioni groenlandesi all’indipendenza, gli obiettivi del rapporto con la Danimarca e il posizionamento globale dell’isola più grande del mondo e della sua popolazione di 60mila abitanti. Non sarà facile. Ma si tratta della grande sfida necessaria da portare a compimento per ricordare che, in fin dei conti, il futuro della Groenlandia è in mano solo ai groenlandesi”. Le sfide non mancano. C’è una partita aperta, in modo primario, sul futuro minerario dell’isola più grande del mondo. Cosa intende fare la Groenlandia della sua ricchezza? Come dividerne i proventi, in caso di sfruttamento? Come coniugarli con una gestione economica altrimenti dipendente dalla pesca e dal generoso sussidio che ogni anno arriva da Copenaghen, di oltre 700 milioni su 3 miliardi di dollari di Pil? Domande aperte che mostrano l’importanza della sfida politica, e non solo, che vive Nuuk.