Ogni promessa è debito e questo vale anche per chi, da imprenditore e da politico, è abituato a vendere sogni e progetti faraonici come Donald Trump. Non si può comprendere appieno l’agenda del tycoon repubblicano divenuto per la seconda volta presidente se non si coglie la grande sfida del debito pubblico a stelle e strisce, vero e proprio Moloch che dal 60% del Pil, nel 2008, si è in quindici anni alimentato per l’effetto di spese in crescita su molti fronti, dalla sanità alla difesa, di una crescente esposizione globale della superpotenza e per l’eredità delle guerre di inizio secolo e della Grande Recessione.

A fine 2023 il debito Usa era oltre 33mila miliardi di dollari, potrebbe arrivare a 40mila a fine 2026 e ogni anno si alimenta di più dell’intero Pil italiano. Washington spende più per servizio e interessi sul debito accumulato che per la Difesa e la sicurezza nazionale. Il Congressional Budget Office (CBO), organo che analizza l’andamento della spesa pubblica americana, in un rapporto fa notare che il debito a potrebbe toccare 50,5 mila miliardi nel 2034. “In percentuale del PIL – dice il rapporto – si prevede che il debito salga al 109% nel 2028, una grandezza superiore a quella di qualunque altro anno nella storia degli Stati Uniti. Il debito dovrebbe continuare a crescere negli anni successivi, fino al 122% nel 2034 […] due volte e mezzo la media di questo aggregato negli ultimi 50 anni”. 

L’economista Giampaolo Galli ha pubblicato sul sito di Ispi un’interessante analisi delle tendenze del debito Usa: “la vera peculiarità del debito USA è il fatto che il dollaro rimane la valuta di gran lunga principale nelle transazioni internazionali. Asset in dollari sono detenuti dalle banche centrali di tutto il modo così come da quasi tutti i detentori di patrimoni importanti. Questo fa sì che gli Stati Uniti da decenni possano continuare ad avere un enorme deficit commerciale e delle partite correnti (905 miliardi di dollari nel 2023). Il punto è che gli Stati Uniti si devono preoccupare molto meno di qualunque altro Paese dell’andamento della bilancia dei pagamenti”, nota Galli. L’economista aggiunge che “il deficit pubblico americano è lo strumento attraverso il quale il mondo si rifornisce di dollari, che sono necessari al funzionamento del commercio mondiale così come per i mercati finanziari. È questo ciò che negli anni ’60 Giscard d’Estaing, allora ministro delle Finanze francese, definì il privilegio esorbitante degli Stati Uniti”.

In quest’ottica, si capisce molto delle politiche del neo-presidente, che intende aggiungere una maxi-riforma fiscale potenzialmente in grado di aumentare il deficit di bilancio, sottoforma di tagli di imposte, di 3mila miliardi di dollari nel prossimo decennio, sperando che rappresenti uno stimolo all’economia interna.

Come finanziarla in un contesto di debito tanto alto? Ecco che subentrano task-force come il Dipartimento per l’Efficienza Governativa (Doge) di Elon Musk chiamato a spingere per il risparmio sulla spesa pubblica in nome delle ristrettezze di bilancio che potrebbero arrivare per gli Usa su molti fronti. Perché, nota Galli, “che neanche gli Stati Uniti possono accumulare debito senza limiti e se ne devono preoccupare. Sono dunque necessarie politiche di bilancio prudenti”. L’austerità per i servizi sociali e il taglio delle tasse per i miliardari sono la politica economica ideale per consolidarle? Difficile essere fiduciosi in tal senso.