A buon intenditor, poche parole. Il Canada ha mostrato che nel contesto delle nuove guerre commerciali scatenate dagli Stati Uniti restare fermi e incassare rischia di essere controproducente. Più pagante è la strategia che vuole di fronte a un’offensiva daziaria una risposta pragmatica, non scomposta, ma diretta: quando l’amministrazione Trump ha promosso dazi al 25% per tutte le merci provenienti da Ottawa, il governo di Justin Trudeau, per quanto dimissionario, non si è tirato indietro e ha proposto una serie di prime controsanzioni volte a colpire l’economia americana là dove potenzialmente faceva più male.
Sanzioni tariffarie e non solo: il liberale Trudeau è stato ad esempio sostenuto dal premier conservatore dell’Ontario, Doug Ford, che ha stracciato i contratti del suo Stato con Starlink, la multinazionale di Elon Musk operante nell’Internet via satellite e ha avviato una netta revisione degli accordi con i colossi Usa che ricevevano appalti pubblici. Chrystia Freeland, ex titolare delle finanze e convinta progressista, è arrivata a invitare i cittadini a“boicottare i prodotti americani” e a fare un danno a “Trump e i suoi amici miliardari. L’ex giornalista del Financial Times ha rivolto un appello ai cittadini canadesi:“se potete, comprate prodotti canadesi. E fate del vostro meglio per non comprare prodotti realizzati negli Stati Uniti”.
Il risultato? Dazi sospesi in cambio dell’impegno canadese a applicare un piano (già previsto da tempo) sui controlli del traffico di fentanyl alla frontiera. Un monito per i prossimi bersagli possibili dell’amministrazione Usa, i Paesi europei: prepararsi alla guerra commerciale implica evitare il panico e concentrarsi sui settori che vale la pena difendere. Magari pensando anche a dazi e azioni su prodotti dal valore simbolico prima ancora che economico. Un esempio? Le auto elettriche Tesla di Musk, che potrebbero essere equiparate a quelle Made in China. Serve creatività politica per navigare in un mondo complesso e sempre più pericoloso.