Giorgia Meloni si è recata a Washington per l’inaugurazione presidenziale di Donald Trump, mostrando una volontà chiara di essere in testa al gruppo europeo di leader aperti alla nuova amministrazione. Il ritiro all’ultimo momento del trumpiano doc d’Europa, Viktor Orban, ha però lasciato sola la premier italiana nella corsa a diventare la prima leader estera in carica, assieme al presidente argentino Javier Milei, a presenziare all’inaugurazione di un presidente Usa dopo che Trump li ha invitati rompendo una tradizione secolare negli Stati Uniti

Resta da chiedersi se questa mossa sia lungimirante in una fase che vede Roma essere particolarmente attenzionata da Washington mentre Francia e Germania vivono tanto fasi delicate sul piano politico ed economico quanto la prospettiva di

un impatto traumetico col Trump 2.0. Con Emmanuel Macron dimezzato, Olaf Scholz uscente e la Germania che si dirige verso il voto Meloni spera di esser ritenuta la figura chiave dell’Europa, ma è possibile che questo atteggiamento si ripercuota negativamente? Pensiamo al costrutto europeo come a una società per azioni, a una “Europa Spa” dove l’Italia è terzo socio forte dopo Parigi e Berlino. Potrebbero, due soci a livello corporate, tollerare le fughe in avanti di chi, terzo nel capitale, cerca investitori esterni autonomamente o mette a repentaglio la posizione dei suoi partner? L’Italia, che vive una fase critica per le sue finanze pubbliche e i conti in Europa, sarebbe parimenti colpita quanto Francia e Germania se Donald Trump imporrà dazi e tariffe; sarà costretta a alzare le spese militari se arriverà la pressione americana; dovrà gestire il protagonismo americano sulla tecnologia e le reti; dovrà comprare quantità crescenti di Gnl Usa se non ci saranno politiche energetiche comuni. Insomma, indebolendo la solidarietà intra-Ue pensando di sfruttare positivamente la fase di crisi dei partner europei rischia di essere un errore di prospettiva dannoso.