In Ucraina sarà, per il secondo anno di fila, un Natale “politico”, per un’ampia serie di ragioni. Parliamo di una storia che si è messa in movimento dopo l’invasione russa del 2022, ma che affonda le sue radici nel decennio presidente. In mezzo, un produttore di cioccolata e un attore di teatro diventati presidenti prima e patroni di una nuova Chiesa poi.

Petro Poroshenko, capo di Stato ucraino dal 2014 al 2019, ha gestito la fase post-Maidan e l’aumento delle tensioni con la Russia favorendo il distacco da Mosca del suo Paese. Tra le altre cose, questo implicava la fine dei tradizionali rapporti di sudditanza della Chiesa ortodossa ucraina al patriarcato di Mosca. Nel gennaio 2019 è così nata la Chiesa ortodossa ucraina affiliata al Patriarcato ecumenico di Costantinopoli, in

opposizione con la Chiesa ortodossa che continua a fare riferimento al patriarca di Mosca Kiril, alleato stretto di Vladimir Putin.

Il presidente ne è stato auspice, con il generoso sostegno da parte degli Stati Uniti, e dopo l’invasione russa del 2022 il suo successore, Zelensky, ha concordato col patriarca Epifanio un passaggio fondamentale: lo spostamento del Natale dal 7 gennaio, data tradizionale che fa riferimento al calendario giuliano, al 25 dicembre. Una scelta per “occidentalizzare” l’Ucraina, entrata in vigore nel 2023.

Una scelta tutta politica, di legame tra trono e altare, che si inserisce nella corsa all’alleanza tra potere spirituale e potere temporale che nell’ex Unione Sovietica emerge con forza all’ombra della guerra russo-ucraina. Per un patriarca di Mosca divenuto “cappellano del Cremlino” c’è una Chiesa ucraina che si stacca da una tradizione di quasi mille anni per ricordare al mondo di non essere una propaggine della Russia. E per milioni di fedeli scegliere quando festeggiare significa fare un atto non solo religioso, ma che influirà sull’identità ancora in definizione della nuova Ucraina.