La Difesa comune europea è un dossier caldo da diversi anni, e per tutta l’ultima legislatura del Parlamento Europeo ha attraversato le discussioni dei legislatori di Strasburgo. Oggi, più che mai, andrà capito quanto e in che misura parlare di difesa comune servirà a parlare di un’Europa in grado di rispondere militarmente e strategicamente con la deterrenza e politiche simili alle sfide provenienti dagli attori non democratici e autocratici e quanto, invece, indicherà una rotta vaga di generico adattamento dell’interesse nazionale dei Paesi membri a una più attiva postura verso le dinamiche dual-use e securitarie.

Ad oggi, l’Ue sta spingendo per la maggiore produzione di armamenti per sostenere la Difesa dei singoli Paesi e la spinta al sostegno all’Ucraina in guerra con la Federazione Russa. Ad oggi, va detto, chi sta guadagnando da questa dinamica è la NATO, alleanza a guida Usa sotto il cui ombrello avvengono le scelte politiche per la Difesa coordinate dai Paesi dell’Unione Europea e sono sdoganate le loro agende industriali: “aumentare la produzione di armi significa aumentare la spesa per la difesa. I paesi europei hanno aumentato la spesa per circa un decennio – dall’annessione illegale della Crimea da parte della Russia nel 2014 – ma il ritmo ha accelerato in modo significativo grazie alle pressioni dell’ex presidente Donald Trump e poi all’invasione su vasta scala dell’Ucraina da parte della Russia”, nota Politico.eu. Aggiungendo che  “la NATO afferma che quest’anno due terzi dei suoi 32 membri raggiungeranno l’obiettivo dell’alleanza di spendere almeno il 2% del PIL nella difesa. Ora paesi come il Regno Unito e la Polonia chiedono che il livello salga ancora di più”. Per i Paesi europei sarà interessante capire se questa sfida potrà portare a un rilancio degli investimenti industriali e sistemici in armamenti e, dunque, alle ricadute economiche della sicurezza. Le spese militari, oltre a essere destinate alla difesa, aumentano in un’economia di guerra perché l’emergenza richiede un rapido riarmo, mobilitando ingenti fondi pubblici. Seguendo i principi di John Maynard Keynes, il budget della Difesa stabilizza il ciclo economico attraverso una maggiore domanda pubblica, coinvolgendo anche settori energetici e tecnologici. Di conseguenza, gli investimenti militari contribuiscono alla crescita del PIL, giustificando così la spesa nel breve termine grazie agli effetti positivi sull’economia. Che all’Ue, oggigiorno, non dispiacciono e sono tanto graditi quanto i meno percepibili dividendi securitari.