In Europa si parla di economia di guerra dopo il Consiglio Europeo di fine marzo. Una prospettiva che apre alla mobilitazione dell’economia dell’Unione Europea in direzione dell’amplificazione del sostegno all’Ucraina invasa dalla Federazione Russa. Si analizza l’idea di mobilitare sempre più settori verso una presa in carico della necessità di trovarsi di fronte a tagliare rapporti di fornitura e comunicazione economica con potenziali rivali, della sfida sistemica del riarmo, dell’ottimizzazione delle risorse. In Francia, addirittura, si parla della prospettiva di requisire fabbriche e dare alle commesse militari, nelle industrie, la priorità su quelle civili.
L’argomento dell’economia di guerra è da tempo associato alla situazione di conflitto effettivo in cui l’Europa si trova con la Russia, attraverso l’Occidente. Questa situazione impone politiche che sarebbero appropriate in un contesto di guerra reale: razionalizzare le forze produttive nei settori dove si ritiene che l’avversario possa sfruttare le vulnerabilità e quindi condurre azioni di guerra economica contro il tessuto produttivo nazionale. In particolare, oggigiorno l’attenzione è rivolta all’energia, al cyber, alle tecnologie critiche, alle infrastrutture.
L’Europa si sta preparando per un’economia di guerra da considerare come un’opzione reale negli anni a venire in settori critici e che dovrà essere esaminata attraverso una serie di criteri. Questi includono la resilienza del sistema produttivo europeo, la sicurezza delle fonti di approvvigionamento e le strategie per gestire il confronto con avversari come la Russia, ma anche con lo “standard” imposto da alleati come gli Stati Uniti. L’economia di guerra favorisce anche politiche di accelerazione tecnologica, come evidenziato dalle discussioni sulla difesa europea.
L’economia di guerra adotta un metodo di gestione delle risorse taylorista per ottimizzare l’efficienza di ogni risorsa finanziaria e ogni lavoratore coinvolto. È naturale che siano privilegiati quei settori che, sia nella Difesa che in altri ambiti, offrono i ritorni strategici più sicuri, non tanto in termini di vantaggio economico quanto di garanzia di sicurezza dalle possibili dipendenze da attori rivali. Sul versante energetico, è diventato evidente questa mobilitazione da economia di guerra con l’obiettivo di sostituire il gas russo. Da tempo, Washington ha mobilitato la sua base tecnologica per valorizzare la forza della sua industria e della sua produzione nella transizione verde, nella sovranità energetica, nelle tecnologie critiche, nei semiconduttori per consolidare il decoupling e ridurre la dipendenza dal rivale cinese e ridimensionare l’influenza della Russia.
Quest’ultima, in termini di mobilitazione, è al massimo della capacità nella fase finale dell’economia di guerra, dedicando la sua base industriale alla produzione di armamenti.
L’Europa non dovrà, sperabilmente, arrivare a tal punto. Ma in futuro una mobilitazione dei settori più strategici sarà richiesta per gestire un quadro di competizione attivo e dinamico. Che toccherà da vicino molti poli produttivi del Vecchio Continente. In cui sfide geopolitiche e dinamiche economiche andranno lette assieme.