La Polonia è tornata al centro dell’Europa negli ultimi due anni. Paese guidato fino a pochi mesi fa da una coalizione conservatrice, “falco” antirusso e gendarme dell’Europa orientale, tra gli Stati più convinti a usare la guerra in Ucraina per danneggiare Mosca prima e antemurale all’ingresso di Kiev nell’Unione Europea poi, Varsavia è sempre più strategica. Ora il nuovo governo di centrodestra guidato dall’ex presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk mira di riavvicinare all’Europa un Paese schierato convintamente, nell’ultimo biennio, più nel campo atlantico che su quello comunitario.
Al di là della “grande strategia”, ci sono motivi concreti per cui l’Italia può e deve guardare alla Polonia e così devono fare le nostre imprese. La guerra in Ucraina ha fatto spostare dalla Germania alla Polonia l’hub energetico dell’Europa centrale: la disruption del gasdotto Nord Stream del settembre 2022 è andata in scena mentre Varsavia inaugurava il gasdotto Baltic Pipe che la collega a Norvegia e Danimarca e mentre aumentavano le importazioni di Gnl americano, aumentando la sicurezza energetica del Paese. Gli investimenti in difesa, tecnologia e sicurezza della Polonia hanno valorizzato la politica industriale come motore della crescita del Paese.
La Polonia può dunque essere simbolo di una capacità del sistema-Italia di cercare nell’estero vicino e in Europa la frontiera reale della delocalizzazione. Di fronte alle crisi della logistica, ai problemi commerciali, agli scenari economici complicati dalla problematica dello shipping oceanico partner come la Polonia acquisiscono valore crescente per le imprese nelle catene di subfornitura e possono essere ritenuti un valido sostituto alle rotte che puntano all’Estremo Oriente in un contesto che vede le catene del valore sempre più regionalizzate.
Il discorso, in una fase in cui la logistica e i rapporti di sicurezza economica tornano centrali, si può porre a livello regionale per l’Europa Orientale. A livello aggregato, l’Italia, grazie a una strategia di delocalizzazione industriale più pragmatica, presenta una proporzione di imprese con direzione verso Polonia, Romania, Serbia, Albania e altri Paesi dell’Est maggiore rispetto a Stati come Germania e Francia. Questa scelta potrebbe fornire una certa protezione da eventuali conseguenze economiche in tempi di crisi geopolitiche, shock di offerta e difficoltà nel transito merci.
Il volume totale del commercio con i quattro Paesi menzionati ammonta a circa 59,5 miliardi di euro, rappresentando il 78% del totale dei volumi di scambio tra Italia e Cina, pur considerando che questi quattro Paesi contano complessivamente molto meno di Pechino nell’economia globale. Polonia, Romania, Albania e Serbia hanno una popolazione totale di 67,5 milioni di abitanti, corrispondenti al 4,7% della popolazione cinese e al 7,3% del Pil della Repubblica Popolare. Tale situazione si presenta notevolmente più favorevole rispetto a Paesi come la Germania, che ha sviluppato una dipendenza bilaterale strutturale con Pechino. E la Polonia, maggior potenza dell’Europa centro-orientale post-comunista, può essere il simbolo di una nuova rotta che trovi nella regionalizzazione la chiave per le future supply chain del sistema-Italia.