Si allontana la prospettiva di uno shock globale sul petrolio: Nella giornata di lunedì 30 ottobre il petrolio veniva scambiato a 89,55 dollari al barile contro 90,48 di venerdì sui mercati asiatici, i principali consumatori di oro nero al mondo. Una svolta significativa che indicava la prima, vera flessione dopo due settimane di rialzi segnati dall’escalation del conflitto in Medio Oriente. L’escalation della guerra aumenta, per molti osservatori, il rischio di interruzioni dell’offerta che incombono sul mercato dopo l’attacco di Hamas. Una stima del governo neozelandese, totalmente dipendente dalle materie prime petrolifere del Medio Oriente per il suo fabbisogno, ha stimato che in caso di rottura tra Israele e i Paesi arabi su Gaza fino a 20 milioni di barili giornalieri di petrolio sono a rischio, sia direttamente che a causa di ostacoli logistici. Dopo che l’amministrazione Biden ha spinto Israele a impegnarsi in un’operazione di terra più limitata contro la Striscia di Gaza, mentre le forze israeliane si sono spostate nel nord di Gaza alla fine della scorsa settimana, questo rischio è parso meno palese.
In un contesto in cui a Brescia 25mila famiglie hanno problemi a pagare le bollette e le imprese si trovano di fronte al doppio fronte di caro-bollette e inflazione, la variabile petrolio, spesso sottovalutata rispetto al gas, non è secondaria. Un’economia votata all’export come quella bresciana, in un contesto come quello italiano dove il trasporto avviene prevalentemente su gomma, non deve dimenticare che il 10% del Pil del territorio è generato dai servizi logistici dei prodotti e dei semilavorati che entrano e escono dal territorio. Su cui dunque il prezzo del greggio impatta profondamente. Un “calmiere” che eviti uno shock petrolifero a seguito della guerra a Gaza è una buona notizia per le imprese del territorio.